Calcio femminile in Italia: una partita ancora da giocare? Il racconto di Carolina Morace
Considerato da sempre uno sport minore e meno prestigioso di quello maschile, il calcio femminile è salito agli onori della cronaca in occasione dei Mondiali di Francia del 2019, catturando un’attenzione mediatica e del grande pubblico mai vista prima. Se a questo si aggiunge il fatto che dal 1° luglio 2022 il calcio delle donne è diventato il primo sport italiano femminile a diventare professionista nel nostro Paese, è chiaro che qualcosa si sta muovendo anche in questo settore, appannaggio fino a poco tempo fa del mondo maschile. Ne abbiamo parlato in Spazio Leonardo con uno dei maggiori simboli del calcio femminile italiano, sia come giocatrice che nelle vesti di allenatrice: Carolina Morace, 12 campionati italiani vinti, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana, 11 volte capocannoniere della Serie A, prima donna ad allenare una squadra professionistica maschile e prima donna inserita nella Hall of Fame istituita nel 2011 dalla FIGC.
Il calcio femminile in Italia: situazione attuale
Carolina, qual è la situazione oggi del calcio femminile in Italia?
Le barriere ci sono e sono ancora da abbattere. Il motivo principale è l’incapacità di creare nel calcio modelli femminili a cui ispirarsi. O meglio, i modelli ci sono ma non vengono presi in considerazione. Si ricorre sì all’esempio di atlete donne, ma prendendole da altri sport, non dal calcio, e questo, se da un lato dà comunque lustro alla figura femminile, dall’altro non valorizza le calciatrici. Le atlete brave ci sono state e continuano ad esserci, ma non sono mai state “condivise”. Nella Hall of Fame purtroppo ci si è dimenticati di tantissime giocatrici di grandissimo valore e questo mancato riconoscimento è un vero peccato perché, invece, avremmo potuto “utilizzarle” in maniera positiva. Una ragazzina che aspira a fare la calciatrice non può avere come modello calcistico solo un uomo. Io ho avuto la fortuna di avere davanti a me Elisabetta Vignotto, di qualche anno più grande, e di non aver mai trovato ostacoli in famiglia e problemi sul campo, ma non per tutte può essere così.
Un cambio di mentalità
Cosa serve per far decollare il calcio femminile italiano: cambio di mentalità, pubblicità, fondi?
Sicuramente serve un cambio di mentalità: ricordo che una volta Fascetti, allora allenatore della Lazio, esordì dicendo che le donne non potevano giocare a pallone. Punto. Poi un giorno venne a vedere una mia partita e cambiò idea! Lui era senza dubbio un uomo intelligente, che aveva capito che non si può paragonare il calcio maschile a quello femminile, per velocità e potenza, ma non tutti ragionavano così. Oggi si sono fatti sicuramente molti passi avanti con progetti dedicati e con l’intervento delle tv – da Sky a Tim Vision a La7 – che mandano in onda le partite della Nazionale femminile, ma fino a pochi anni fa non era così: la mia generazione è stata due volte vicecampione d’Europa ma nessuno l’ha visto e, anche quando abbiamo giocato gli ultimi Europei, l’unica tv che mancava era quella italiana. Servono sicuramente delle sponsorizzazioni per dare sostenibilità anche al calcio femminile e questo è compito dei dirigenti e degli imprenditori illuminati. Il compito di noi tecnici, invece, è quello di presentare un prodotto appetibile, e mi sembra che lo stiamo facendo. La Nazionale piace e spesso le partite della serie A femminile hanno uno share più alto di quelle della serie B maschile.
Un confronto con gli altri Paesi Europei
Rispetto agli altri Paesi Europei come si posiziona il calcio femminile italiano?
Siamo indietro perché siamo partiti più tardi. Oggi la Nazionale Italiana ha fatto moltissimi passi in avanti. L’abbiamo vista tutti al Mondiale, non solo come risultati ma anche come gioco. Il modello a cui dobbiamo tendere non è più quello dei Paesi nordici, bensì quello della Spagna o dell’Inghilterra, dove c’è davvero una promozione incredibile del calcio femminile. Per questo credo che ci farebbe molto bene cominciare ad ospitare anche da noi competizioni con queste squadre.
Dilettantismo e professionismo
Le donne nel calcio italiano non sono ancora professioniste ma dilettanti: cosa comporta nel concreto?
Comporta di ritrovarsi a fine carriera senza, appunto, una professione in mano e doversi quindi reinventare per ricollocarsi nel mondo del lavoro, magari a 35 anni. Purtroppo ci sono ancora molti, nel mondo del calcio, che non sono d’accordo sul professionismo femminile, spesso con la motivazione della mancanza di sostenibilità, ma questo non può diventare assolutamente un limite e bisogna lavorare affinché non lo sia.
Calcio maschile e calcio femminile: differenze e similitudini
Uomini e donne sono diversi fisicamente ma possono essere simili nella testa. Le differenze tra atleti vengono meno quando si parla di tecnica e di strategia nell’allenamento, si ritrova nella sua esperienza?
L’uomo è molto più attento della donna a come lo tratti e sa riconoscere il ruolo dell’allenatore, se questo è competente. Come allenatrice ho avuto sempre un grandissimo rispetto delle persone. Questo è stato molto apprezzato dalle squadre maschili. Come in ogni altro ambito, anche nel ruolo di allenatore sono la competenza e la professionalità che fanno la differenza, sia esso un uomo o una donna, e questo talvolta in Italia può dare fastidio. Altra caratteristica fondamentale di un allenatore è la personalità. Per me vuole dire autorevolezza, non autorità. Quando il livello qualitativo è alto, comunque, ogni differenza viene meno.
Sport: valori e insegnamenti
Quali valori le ha insegnato lo sport?
A me in particolare credo abbia dato personalità e moltissima sicurezza. Ricordo ancora il mio esame orale per diventare avvocato a Roma: un’aula con la Commissione schierata con gli occhi puntati su di me, un esame difficilissimo, che alcuni avevano provato già diverse volte. Io mi sono detta: ho fatto mondiali, europei, ho calciato rigori decisivi, questo esame non sarà certo un problema insormontabile. Infatti l’ho passato. Poi lo sport di squadra mi ha dato quello che dà a tutti, professionisti e non: rispetto delle regole, senso di appartenenza, inclusione, determinazione, il sano confronto con gli altri, il legame di amicizia con le compagne di squadra e di stanza. Oltre a un impagabile benessere psico-fisico.
Benefici e salute
A proposito di benessere, quali sono i benefici che una donna ottiene dallo sport?
Come dico sempre mens sana in corpore sano. Lo sport ti fa acquisire uno stile di vita corretto che ti fa stare bene, ad ogni età. Io ad esempio, pur non seguendo più un programma di allenamento specifico, gioco a tennis due/tre volte alla settimana e vado in palestra una volta. Lo faccio perché il mio fisico è stato abituato così e ne sente il bisogno per stare bene. In effetti ancora adesso corro più veloce delle mie compagne di tennis e anche dopo un piccolo infortunio mi riprendo molto velocemente. A questo si aggiunge un regime alimentare sano ed equilibrato, che mi è rimasto come impostazione da quando ero atleta, e che non vuole dire dieta ferrea, ma attenta, varia, con tanto pesce, cotture leggere. Il risultato è che rispetto alle donne della mia età, ma anche ad alcune più giovani, che non fanno sport, io fisicamente sto molto meglio. Credo che lo sport ti insegni anche a conoscere meglio il tuo corpo, a capire di cosa ha bisogno, quando sta bene, e questo è importante per potergli dare le risposte adeguate.
Il calcio femminile nel settore giovanile
Se una bambina volesse diventare una calciatrice cosa dovrebbe fare? Bisognerebbe incentivarla a giocare e servono campagne di sensibilizzazione su questo tema. Se il nostro Paese volesse avere una Nazionale forte e un livello di campionato alto, bisognerebbe che i centri federali e le società dilettantistiche avessero un vivaio sempre più ampio di iscritte da cui attingere per far crescere le campionesse di domani.