La Finanza sostenibile: può esserlo davvero?
La Finanza sostenibile è un concetto di cui si sente parlare sempre più spesso: ma cosa significa, quale impatto possono avere le strategie ESG (Environmental, Social, Govenance) sul mondo di oggi e quale approccio è richiesto – agli investitori così come ai consulenti finanziari – in quest’epoca di post pandemia? A parlarcene, in diretta live da Studio Leonardo, il dottor Gabriele Pinosa, classe 1972, esperto in Economia dei Mercati e degli Intermediari Finanziari e amministratore unico di Gospa Consulting.
Dottor Pinosa, cosa significa “Finanza sostenibile”?
“La Finanza sostenibile è l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria. L’idea è quella di garantire la “capacità di futuro”, cioè l’uso razionale delle risorse in modo da non compromettere la capacità delle risorse stesse di continuare a produrre valore nel tempo. Non avendo un pianeta B, non possiamo contare su un piano B. Di conseguenza, per investimento responsabile (IR) si intende la pratica in base alla quale agli obiettivi tipici della gestione finanziaria, cioè l’ottimizzazione del rapporto tra rischio e rendimento in un dato orizzonte temporale, vengono affiancate da considerazioni di natura ambientale, sociale e di governance (ESG: environmental, social, governance)”.
Quale approccio è necessario oggi a chi lavora nel settore finanziario per portare avanti questo concetto?
“La pandemia appena attraversata è stata senza dubbio un acceleratore di un processo già esistente all’interno della storia della Finanza che ha fatto sì che oggi per vendere un prodotto finanziario non ci si possa più focalizzare esclusivamente sul prodotto stesso ma si debba essere, prima di tutto, vicini al cliente, interrogandolo e interrogandosi sul mondo in cui stiamo vivendo, sui rischi e le opportunità che un investimento potrebbe avere sulla propria famiglia, sui risparmi, sul lavoro e dunque su come quello che è successo possa essere impattato dalle strategie ESG.
La storia sicuramente ci insegna che oggi subiamo le scelte e le omissioni fatte in passato sul tema della sostenibilità.
A introdurre per primo il concetto di un’economia e di una Finanza globale sostenibili è stato Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel suo discorso al World Economic Forum di Davos nel 1999 quando sottolineò che il mondo sarebbe andato incontro a delle fragilità sostanziali e che dunque i grandi Player mondiali avrebbero dovuto scegliere da che parte stare: da quella della redditività a breve termine oppure da quella delle scelte strategiche a lungo termine per un’economia globale, rispettosa dei diritti umani e del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente e della lotta alla corruzione.
Lo stesso concetto ripreso poi dall’economista di Oxford Kolin Mayer, secondo il quale l’obiettivo del business non deve essere quello di fare profitto a breve termine e fine a sé stesso, bensì di creare tutti quegli elementi di profittabilità che facciano stare bene le persone e l’ambiente, programmando investimenti a lungo termine per il bene globale e sociale.
Questo dev’essere dunque l’approccio etico richiesto al risparmiatore/investitore così come al consulente finanziario: schierarsi, prendendo una posizione e decidendo se essere parte del problema o della soluzione. (Eloquente il pensiero di Papa Benedetto XVI secondo cui non c’è crisi finanziaria ed economica che non sia preceduta da una crisi morale ed etica)”.
Il mondo della finanza e dell’economia è pronto a questo approccio sostenibile?
“Il problema di oggi è un capitalismo truccato (rigged capitalism) in cui le scelte strategiche spesso non abbracciano il lungo termine. Ovviamente il sistema finanziario non può prendere certe scelte da solo, serve a supporto una Governance (ovvero un’organizzazione dei processi decisionali) anche legata al day by day che indichi la strada e le azioni concrete da seguire in modo da usare la finanza sostenibile per il rispetto e al servizio dei bisogni sociali. Ad oggi purtroppo manca ancora la declinazione della tassonomia, ossia un sistema comune di classificazione a livello dell’UE o mondiale che dia una definizione di attività economica ecosostenibile e una standardizzazione dei parametri ESG al fine di un loro utilizzo pratico. Senza queste indicazioni, il rischio è quello del greenwashing, ossia di dipingere come ecologiche cose che in realtà non lo sono affatto, commercializzando prodotti finanziari come “verdi” o “sostenibili” o cercando di coprire alcune attività inquinanti spacciandole come eco-friendly, quando in realtà non soddisfano gli standard ambientali di base”.
Finanza sostenibile in Italia: a che punto siamo?
“Gli italiani hanno la sensibilità – sia ambientale sia sociale – per comprendere tutto ciò, ma mancano da un lato la fiducia, dall’altro l’educazione alla Governance. C’è sicuramente un problema di Trust, per questo il primo processo di cui i risparmiatori hanno bisogno è di recuperare la fiducia negli interlocutori. Il secondo aspetto riguarda la competenza e la conoscenza: serve mettere insieme i tasselli, ad oggi sparsi, di un mosaico e mostrarlo al risparmiatore che oggi non riesce a vedere lo scenario completo e a lungo termine. Gli ESG sono prodotti che ben si adattano a tutte le generazioni, perché i più giovani possono trasmettere una visione sui criteri ambientali che le generazioni più vecchie non avevano, offrendo nuove opportunità e andando a toccare corde più alte (l’ambiente, il futuro, la famiglia, l’impresa) rispetto al puro e semplice business. Per questo risulta di fondamentale importanza il ruolo del consulente, un professionista preparato che, attraverso le domande e la visione degli scenari di cui abbiamo parlato inizialmente, sappia guidare il risparmiatore nelle scelte”.
Quali sono dunque le parole chiave su cui puntare oggi?
“Siamo di fronte a un cambio epocale di prospettive dell’investimento in termini di focus: se nel XIX secolo la parola chiave era solo il rendimento, nel XX secolo è diventata il rapporto bidimensionale tra rischio e rendimento. Oggi siamo passati a un rapporto tridimensionale in cui i fattori chiave diventano tre: rischio, rendimento e impatto – sociale, ambientale, individuale. In sintesi, tutto quello che oggi facciamo (o omettiamo di fare) ci ritorna indietro e impatta sulle nostre vite e di chi arriverà dopo di noi”.
Una risposta concreta a una società in continua evoluzione
Per Vanessa Gargioni, Assistant, il Progetto dedicato al Benessere è parte integrante di un’evoluzione continua dell’azienda che punta a rispondere alle esigenze e ai bisogni delle persone: “L’innovazione in azienda è all’ordine del giorno e negli anni ho potuto vivere in prima persona questo cambiamento. Il Progetto Benessere è stata senza dubbio una tappa importante che continua ad arricchirsi di nuove iniziative e che contribuisce a farci sentire sempre più parte di una grande e unica realtà. Dopo l’ambito più legato all’alimentazione – che significa anche solo poter andare a bere un caffè con i colleghi per fare quattro chiacchiere e conoscersi meglio – è stato introdotto il servizio dello psicologo, che risponde a un bisogno emerso negli ultimi anni e che dopo la pandemia si è sicuramente accentuato. Far fronte prontamente alle nuove esigenze e ai bisogni della società significa essere sempre al passo con i cambiamenti del mondo che ci circonda, significa saper innovare e innovarsi, anticipare, sorprendere. E credo che anche il poter lavorare in un ambiente così stimolante e sempre ricco di novità sia sinonimo di Benessere”